venerdì 28 dicembre 2007

Piper, niente di nuovo

L’intento di quel venerdì sera era di passare una serata tranquilla, al solito bar con un po’ di gggente ( flashback-à suscita ancora in me ilarità quel pomeriggio in centro con una mia amica. Alla proposta di un aperitivo al Cortez di porta Borsari, la sua risposta è stata “ C’è poca gggente dai! Passiamo dopo quando si riempie di più!”…ma vafangulo) .

Il baretto è chiuso, che si fa? La più classica vocina fuori dal coro, imbrigliata anch’essa nella ragnatela del tam tam, marketing a “ pochi schei, ostia!” propone di andare a fare un giro al Piper, locale abbarbicato sulle Torricelle , ex Circolo della casa delle liber..ehm….del Tennis.

Champagne e Aragosta!

Varcato l’ingresso, ci si trova in mezzo ad un corridoio, dove a sinistra ci si dirige verso la sala ristorante, isolata all’altra parte del locale, mentre a destra si accede all’obiettivo maximo di poseur e amanti del bere, il bancone. L’effetto, alla fiera dell’ovvietà, è uno dei più classici: il Dejà vu.

Muri a tonalità chiare, librerie con strumenti musicali sotto teca, condotti dell’aria ben visibili e travi a vista.


Special guest : le facce d’aragosta, gli attempati quarantenni con toupet e Valpolicella in mano, i damerini direttamente da Venezia con l’acqua alta, i lampadari in cristallo boheme, le tv al plasma che proiettano immagini a random, le phheghe. Tante. Balza all’occhio il tavolone bianco del castigo, perfetto per gli esibizionisti più incalliti. Incastonato in un angolo, permette di sedersi solo spalle al muro (pax 4-5), dominando la visuale sugli astanti. Niente da dire sull’arredamento in generale. Non originale, certo, ma probabilmente dispendioso. Stride l’altre parte della sala lontana dal bancone ellittico. Tavolini in penombra per cene caciarone ( dàghelo molo, dàghelo duro! Uè!) o per compagnìe timide. Per i loose dog like me, mensole e sgabelli vicino al bancone godono anch’essi di una visuale egregia. La musica, sound by Radio Company e sparata a palla ( ci stai dentro veecio!) disturba non poco il dialogo. Altra nota di demerito è la collocazione dei bagni, siti al fianco della cucina. Provo a non immaginare gli ingredienti del piatto “ Fantasia dello Chef”.

Insomma, il Piper, riallacciandosi al Deja Vu, ha un sapore di portanuoviana memoria, sicuramente più grande e meglio disposto, ma poco originale. Prendo atto che il marketing “da du schei” adottato dai soci del Piper ha funzionato. Di venerdì, il locale era carico di bella gggente.

Il traino del Piper, se sfruttato bene, sarà la terrazza esterna, da cui si gode di una vista magnifica sulla città scaligera. Non è classificabile la qualità dei cocktail, dato che quella sera, carico di esperienza passiva ( patenti ritirate di terzi), ho bevuto due succhi di frutta.

D’inverno, un locale forzatamente fashion e radical keetch , d’estate (forse) una sorta di lillipuziano makò.

Da (ri)vedere.

Butel Saval

venerdì 2 novembre 2007

Mantra Cafè

Un sabato sera qualunque decido di andare a fare un giro al Mantra Cafè, ex Harp Pub, sito in Via Cantarane (zona univr). Per chi, come me, ogni tanto andava a bere una birretta all’Harp pub, sarà uno shock entrare al Mantra Cafè, sia per ciò che concerne l’arredamento, sia per la “bella” gente che fa da cornice. Se un tempo era il legno il componente principale dell’Harp ( dai tavoli alle panche, dal barista alla cassa) ora sono la plastica e l’eco pelle a farla da padrone. Addio anche al vecchio odore, sconfinante talvolta in fetore mefitico, delle “groste” al formaggio (una specie di pizza super formaggiosa) , scalzato da una fragranza simile ad un pout porri di alcool e big babol. Confesso che v’era un po’ di titubanza nell’entrare, data dal numero elevatissimo di persone di sesso maschile ( sembrava di entrare al famoso popper bar di San Michele, con flipper dalle gambe segate annesso, per giocare a 90°), ma decisi comunque di tentare la sorte. Rivoluzione!

Le donne ci sono e all’entrata, fa sfoggio di sè il mega bancone futuristico bianco. Poco lontano,vi sono alcuni tavolini bianchi con sedie bianche. Più a destra, un dj bianco che suona musicaccia techno (bianca?) e, alle sue spalle, il secondo troncone del locale, composto da divani di pelle bianca e tavolini bassi. Ordino una sambuca liscia, mi rispondono che è terminata. Ma come, finisci la sambuca di sabato sera? No way man! Ripiego su un montenigger. Bevo e levo le tende. In quel quarto d’ora passato al Mantra cafè, posso dire che con tale arredamento, il locale risulta un po’ freddino, a causa del colore bianco che è prettamente dominante. Il salone dei divani poteva essere sfruttato meglio. Tanti divani, salone grande, gente pochissima. Crea un senso di vuoto notevole, quasi opprimente.

La gente. Strana. Giovani universitari alternativi e un po’ untini e qualche gruppo di najotti (immancabile) . Al Mantra Cafè va riconosciuto lo sforzo nel tentativo di proporre
un arredamento fashion (?), anche se ormai banale. All’entrata, il locale sembrava abbastanza pieno di gggente, ma l’occhio sentenzioso conosce ormai il vecchio barbatrucco degli avventori posizionati appositamente dal gestore all’ingresso ( saranno li stessi ragazzi seduti dietro Magalli a Piazza Grande? Le sagome di “Mamma ho perso l’aereo” insegnano).

In conclusione, un luogo dove bere uno shot veloce per poi approdare in lidi migliori.

Per chi andava all’harp, meglio evitare. Per tutti gli altri, pure.

Butel Saval

lunedì 29 ottobre 2007

Lucchetti dell'amore

I lucchetti dell’amore impazzano da tempo su ponti, cancelli, motorini, biciclette, portoni, mutande e chi più ne ha, più ne metta. Cosa sono i lucchetti dell’amore? Sono dei lucchetti di ferro, semplicissimi, messi in ogni dove dagli innamorati, per scambiarsi in questo modo una promessa di amore eterno.

I lucchetti sono diventati di moda da quando sono apparsi nella pellicola per adolescenti “Ho Voglia di Te”, tratta dall’omonimo libro di Federico Moccia. Ora mi domando, questi lucchetti non danno un senso distorto dell’amore? Ovvero, il lucchetto è chiuso e tu sei mia/o per sempre.

Non credete che con tutta questa ferraglia, subentri una concezione possessiva dell’amore, legata al partner/oggetto? I lucchetti arrugginiscono ma l’amore non deve arrugginire.

Secondo me questi lucchetti sono una gran cagata….

mercoledì 24 ottobre 2007

Jamaica

Pub Jamaica- Verona

La recensione in questione riguarda uno dei locali più jamaicani (ahah) di Verona, ovvero Il Jamaica, situato a Verona Sud, vicinissimo all’imbocco dell’autostrada. Il Jamaica è un connubio tra trash art e wood creation, ricco di suppellettili low budget. L’idea è anche carina e rappresenta una novità nel mare magnum (?) di locali, o presunti tali, che la nostra Verona ospita. Premetto che se volete andare al Jamaica, non fatelo, o vili mecanici, di venerdì o sabato sera, a meno che vi armiate di dosi massicce di pazienza. Infatti, nei fine settimana , la coda per entrare è lunghissima, non tanto per la decatantata (da altri) selection, quanto per i posti a sedere limitati. Oltrepassato l’ingresso ( give me the morning ride, baby), si nota un locale molto spazioso, ma altrettanto dispersivo.
Agli angoli, si trovano degli spazi recintati da assi di legno, con dei tavolini bassi e dei cuscini per terra, dove ci si può sdraiare . Vicino al bancone vi è anche un soppalco, raggiungibile tramite una liana/scala dove possono trovare posto circa quattro persone, causa limite massimo di peso. Disseminate qua e là ci sono delle botti di legno utilizzate come tavolini, con annessi trespoli
( e catene da infilare alle caviglie, come con le cocorite). Carina la roulotte per coppiette, dove si possono fare quattro sporcellate con la pheega di turno , lontani da occhi indiscreti (e bocche sbavanti). In questo spaccato di caraibico sapore, si possono sorseggiare i più svariati e conosciuti cocktail, ma la vera specialità è la brocca-calderone con frutta surgelata di stagione, coca, acqua, havana ( a scelta) e tanto, tanto ghiaccio.

Il ripieno della pignata di David Gnomo lo si può gustare con l’ausilio di chilometriche cannucce, comode e pratiche ( ad ogni sorsata una commenda sulla camicia,tanto da potersi guadagnare,a fine serata,l’appellattivo di Commendatore) . Pratiche… Infatti, dirigendosi in bagno con in bocca una di queste, si può tranquillamente bere a distanza ( anche dalle brocche degli altri,in simpatia).

La musica, considerato il background ed il nome del locale, è ovviamente a base di reggae. Mancano solo il free joint ed i negroni ( non i cocktails) con i rasta per sembrare in Jamaica (chiudendo prima gli occhi). Il target del Jamaica è abbastanza variegato e dedicato.

Infatti, durante la settimana l’età media va dai 23 anni su, nei week-end si abbassa includendo
teen-ager brufolosi e fighette gne gne. Che dire…l’idea non è proprio malaccio, ma considerando i “quatro schei” spesi per allestire il locale, è assurdo proporre a 25 € il pentolone ed i cocktail a 6-7 € (indipendentemente essi siano alcolici o anal(mmm)colici). D’estate è presente anche un tristissimo plateatico esterno, delimitato da piccole canne di bambù e circondato da prefabbricati tipici da zona industriale.

P.s. Un consiglio ai gestori del Jamaica: Mettete nello stereo qualche bel disco del nero albino più famoso di Kingston: Yellowman. Check this sound!

Butel Saval

lunedì 18 giugno 2007

Il bipolarismo forzato della politica italiana

E’ innegabile che la politica italiana ultimamente stia attraversando un periodo oscuro, in cui la fiducia nelle istituzioni e la credibilità di quest’ultime, stanno perdendo sempre più punti di affezione da parte dei cittadini. La politica forzatamente bipolare, spesso più sfaccettata e divisa all’interno d’ogni singolo blocco, non sta portando i frutti ben sperati.

Intercettazioni telefoniche bipartisan, foto su giornali scandalistici e furibonde liti decorosamente verbali, condiscono il tutto, all’insegna di un caos social politico prettamente italiano.

La soluzione alla moltitudine dei problemi che investono il paese, può essere riassunta in un’ unica parola: collaborazione. Collaborazione tra destra e sinistra, collaborazione all’interno della destra e della sinistra, collaborazione all’interno delle micro galassie che compongono ogni singolo partito.

Se non si parte dal presupposto che l’unione fa la forza, per il bene della comunità, quindi implicitamente, per il bene degli elettori, la politica si ridurrà ad un inutile cianciare, facendo sprofondare ulteriormente chi, prima, “non se la passava poi tanto bene”.

Della serie, si stava meglio quando si stava peggio.

venerdì 15 giugno 2007

Microcosmo

Quasi tutti noi abitiamo in un contesto caratterizzato da relazioni umane variegate, che vanno dal luogo di lavoro, all’università, dalla cerchia di amici al posto in cui viviamo, etc…
Ecco, ognuno degli esempi sopra riportati può benissimo essere chiamato microcosmo.
Durante il corso degli anni ho vissuto e frequentato diversi microcosmi, alcuni ancora attuali e altri “sedotti e abbandonati”. Ricordo bene, durante gli studi, il periodo del lavoro (come allestitore) in fiera, terra quella ricca di microcosmi folcloristici e variopinti.
Il mio in particolare era una sorta di armata brancaleone (me compreso) abbastanza competente, ma altrettanto demolita. Si trattava di montare gli stand:

-C’era l’alcolizzato( già tossicodipendente)aficionados al caffè corretto vecchia romagna delle 7.30;

- Il vecchio e aitante pensionato, con fama di demolitore di coglioni( N.B. per tre giorni, 24 ore, ho dovuto spingerlo su un castello di damer );

- Il calciatore fallito (arrivato anche in serie B);

- Il vecchio panza, fumatore pazzo di golouase senza filtro;

- Un magrebino ed un cileno, grandissimi lavoratori;

- Uno studente un po’ rimba;

- Un giovane padre di famiglia.

Tralascio volutamente le bestemmie grezze e le battutacce da “osteria numero venti” ( se le fighe g’avesse i denti…..segue Cin Cin fragoroso con boccali di bronzo), scambiate talvolta amichevolmente, talvolta pregne di rabbia alcolica, dal simpatico gruppo.
Ogni personaggio è caratterizzato da un particolarità ed i soprannomi si risparmiano, anche se talvolta veritieri ( il tipo con faccia sempre sudata, il lustro , resta però il migliore di tutti).
E nel vostro microcosmo, chi è (in)degno di essere menzionato almeno con un aggettivo o brevissima nota descrittiva?

giovedì 14 giugno 2007

Slang sub-urbano

Da qualche anno, il linguaggio dei giovani e delle compagnie è notevolmente cambiato e contaminato da neologismi.

Quest’ ultimi sono nati spesso per scherzo o magari importati da altre zone della città.
Ad esempio, i marocchini un tempo venivano chiamati “maruega”, per poi evolversi in “aziz”.

Con notevole stupore, il termine aziz, un tempo usato da pochissime persone, attualmente lo si sente spesso nominare. Altro termine o modo di dire è il rafforzativo “tac”.

Ad esempio: “ Sono andato a comprare un paio di scarpe e, al momento di pagare, tac, sconto del 40%”.

Anche questo neologismo ha subito un’evoluzione. Un tempo si usava “tic tac”, (special thanks al titolare della trattoria “Al Borgo” che, elencando i secondi disponibili, si sofferma sulla
“ bistecchina di cavallo tic,tac” per intenderla come appena scottata) adesso, sempre più spesso si sente dire “ho fatto questo e…. tac!”.

Un altro neologismo, conosciuto frequentando una famosa compagnia di butei del saval, è il termine “caimano”. Un caimano è una persona che “tira le sole” o che comunque non si comporta molto bene. Giusto ieri sera si parlava delle fregature prese su e-bay, quando è emerso che tra i butei c’era il “caimano di e-bay”, colui che frega gli utenti facendosi inviare i cash per poi non spedire un tubo.
Per dire invece che una situazione od una cosa è molto “trash” (spazzatura) si ricorre al termine “treshata”, da leggersi come scritto, o “treshone” rivolto ad una persona particolarmente trash.
Tralascio il significato del neologismo “spinacchia”, utilizzato in contesti del tipo “ Sono spaccato, ho fumato 3 spinacchie!”. Altri neologismi sub-urbani potranno nascere e sicuramente tanti neologismi non sono conosciuti dal grande pubblico.

martedì 22 maggio 2007

Nuovo genere musicale: la musica 2^80

Di ritorno da un house club londinese, a cui ho partecipato ad una “club selection” (decidere i miglior pezzi di vari house club per poi incidere i dischi the best of) è nata la convinzione pressoché unanime dell’emergere di un nuovo tipo di house music. La cosiddetta “ 2^80”, leggasi altresì due e ottanta, ovvero due volte anni 80. In poche parole riprendere pezzi musicali e tormentoni dei gloriosi (ed in qualche caso anche trash) anni 80, per riadattarli in chiave house.
Il risultato è spesso godibile e, per chi apprezza anche la musica degli anni 80, nostalgico (da lacrima triste alla Pierrot). Non solo. Con la musica 2^80 si può avvicinare al genere house anche chi non conosce le sonorità del tempo dei capelli cotonati, degli orecchini ad anello grossi, gialli e di plastica, delle camicette con le spalline e delle giacche a pois. (per l’uomo anni 80 invece, baffi, capelli riccioli, jeans pantacollant, fascetta in testa e polsini adidas).
Alcuni esempi di 2^80 possono essere “Dero featuring Lee Johns “ che cambiano il look agli Imagination e alla loro Just an Illusion con un pezzo 2^80 di tutto rispetto oppure, per citare un'altra hit anni 80, Sweet Child O’Mine dei Guns and Roses, re interpretata dai Flat Pack e remixata anche da Mylo e Linus Love.
Le diversità (tecnologiche e culturali) che contraddistinguono le 2 epoche musicali vengono miscelate per raggiungere un prodotto finale ballabile e, musicalmente parlando, più che soddisfacente.

lunedì 7 maggio 2007

Saranno Famosi


Chiaccherando allegramente del più e del meno, ieri, in occasione di un mega aperitivo più mega buffet, veccio-pacca-veccio, è emerso che i butei sentenziosi sono le vere guess stars ,virtuali e non, di Verona. Parlando con una mia carissima amica, nonché girls di un mio carissimo amico (tale butel m) la voglia di sapere chi si nasconde dietro il nick Butel Saval, Butel 1, Butel 2 etc… è tanta. Tale amica ha raccontato che delle sue amiche, che conoscono dei tipi, di cui uno è cugino della zia dell’amica della mia amica, leggono spesso le recensioni sentenziose. Si parlava in particolar modo della recensione del Vintage , dato che il mega aperitivo con mega buffet regale/fiero pasto si è svolto presso il Vintage di San Pietro in Cariano (Regina Elisabetta non pervenuta).
Tali girls, sarebbero anche disponibili ad offrire almeno tre giri di spritz, patatine comprese(ahaha), per riuscire a conoscere le facce (da culo) dei fancazzisti e buontemponi butei sentenziosi.
Mi ha anche detto,la mia amica, che in giro “siete famosi”. Rendez Vous si attende, con riscaldamento delle groupies. Inoltre, dato che è grande la mia fama di conoscitore dei giri, ho saputo che il titolare del pub Andy Cup, ha messo una taglia di 1000 euro sul mio scalpo ( e che cazz, sono in saldo?) e che i soci dell’Oxo hanno già organizzato dei picchetti con annesse tende e bombole da campeggio sotto casa di Butel 1, con slogan del tipo “Butel 1 non sei nessuno” o “ Butel1 non sei nessuno ma sei gay” e via dicendo. Anche gli avventori della vecchia osteria “La Rama” estinta ormai nel lontano 88, impallidirebbero di fronte a tali insulti.

Il tutto riassunto in una parola : Meraviglia ragazzi miei! Meraviglia per la curiosità che attanaglia le persone che ci leggono! Sapevo che sentenziosi aveva un buon numero di utenti, ma non sapevo della bramosia di conoscenza dei volti dei simpatici buffoni che si nascondono dietro i vari nick sentenziosi. Butel Saval , Butel 1, Butel 2, in quel di Verona, su tutti.

martedì 24 aprile 2007

Riappropriarsi del quartiere

Riappropriarsi del quartiere. Ovviamente non in senso battagliero, ma cogliendone il sapore dell’aria, il profumo della primavera, il sole che riscalda. Siamo sempre presi dagli impegni che spesso ci dimentichiamo di dove viviamo, soprattutto nelle città e nei grandi centri extraurbani.
Un invito a fare una passeggiata, anche breve, con la mente rilassata e guidata da gambe che conoscono la zona. In solitudine, voi e solo voi, ogni tanto. Noterete la vera essenza del quartiere,
della tale zona, facendo particolare attenzione ai dettagli. Quei fiori rosa in mezzo alle margherite, la nobile brezza che s’incontra nell’ombra, l’odore duro dell’asfalto al sole e il borbottare dell’autobus di linea, che passa stanco in lontananza, sbuffando. Questi sono i dettagli a cui mi riferisco, contrapposti purtroppo ad evidenti stati d’incuria dei beni pubblici, quali giardini disastrati, piatti e sporchi, spesso pascoli per cani. Oppure strade con strisce scolorite, impresse anni addietro. Riqualificare il quartiere con spazi pubblici intesi come verde, da ridare ai cittadini. Attrezzarli a parco giochi per i più piccoli, dove possono scorrazzare e divertirsi in sicurezza; ritagliare qualche perimetro verde, magari all’ombra e non isolato, fornendolo di panchine, panche,tavoli di legno dove, magari ci si può leggere un libro in un caldo pomeriggio o dove qualche anziano può fare una partita a carte in compagnia. Pensare agli amici a quattro zampe, con spazi dedicati anche a loro.

Ricordiamoci ogni tanto della zona in cui viviamo e riassaporiamola, nel bene e nel male, in solitudine, in riflessione, immaginando di poterla migliorare con una bacchetta magica.

In dedica al futuro Sindaco.

lunedì 23 aprile 2007

Vintage

Il Vintage è un locale ubicato in quel di San Pietro in Cariano in Via Guglielmo Marconi.Non fatevi ingannare dal nome, il quale può portarvi a pensare ad un posto in cui tutto è vintage ( vintage= il vecchio che ritorna fashion). Anzi. Il Vintage fa sfoggio di sé con un arredamento fresco, profumato, che sa “di nuovo”.
All’esterno si nota la grande vetrata che permette l’ingresso nel valpolicelliano locale.Balza subito all’occhio la conformazione.
Tre piani così suddivisi:

Primo pianoà molti tavoli adatti a compagnie numerose o a cene.
Piano terra à quello che si presenta all’entrata. Di fronte c’è il bancone e a sinistra qualche tavolo, per i consumatori fugaci. A destra invece vi è l’onnipresente DJ. Lui sì che è vintage, cari miei lettori. Uno dei rari DJ che lavora con i vinile, sparando House non commerciale di tutto rispetto e da me, grande conoscitore qual sono, gradita . Pollice UP!
Piano inferioreàVisionato solo per curiosità. Molti tavoli anche qui,ma poca gente. Adatto per organizzare qualche festa privata.
Il Top per questo locale è la possibilità di interazione tra i livelli, così esplicata: Cena al primo piano; Caffè “col sgropin” e qualche Cocktail al piano terra; Quattro salti, non in padella, al piano inferiore.

Butel C: “ Si potrebbe organizzare qualcosa vecio!”.

Butel Saval: “ Si dai, figata. Pensaci tu”.

In effetti, i tre livelli del Vintage, se ben gestiti, possono promettere bene. Per ciò che concerne il beveraggio, va detto che i Coktail sono buoni ed i prezzi standard: 5 €. Pollice UP!
La birra, questa bella bionda, va però servita nei boccali e non nei bicchieri da aperitivo.
Con la birra in quei bicchieri, l’effetto visivo non è dei migliori (Vorrei ma non posso). Pollice DOWN!
L’arredamento invece merita. Minimal e molto gradevole, senza sfarzi di Porta Nuoviana memoria.
Alzando gli occhi al cielo, pardon, al soffitto, si notano il sottotetto di legno chiaro e i condotti dell’aria esterni in alluminio, in pieno stile “James Bond e il mistero dell’Amarone rubato”.
Non nascondo la voglia di un giretto a gattoni in quei condotti, con una bottiglia di Amarone trafugata dietro il bancone. Condiscono il tutto lampadari di riso mai demodé e due quadri, ai due lati, molto pulp.
La gente: miscellanea di giovani non troppo giovani (dai 22 ai 35), gradevole e non molesta.
Il mio arrivo al Vintage si è verificato intorno alla Mezzanotte di sabato e gli avventori, ad una rapida occhiata, saranno stati circa settanta. Le donzelle inoltre non mancavano.
Locale adatto a tutti e se qualche sera non sapete dove andare, fateci una salto, merita.
Carina anche l’erba sintetica all’esterno. Mi sono sentito per qualche minuto Tiger Woods con mazza (birra) e pallina (sigaretta). Enjoy!

L'entrata del vintage (h.1:50)


Butel Saval

mercoledì 18 aprile 2007

La rivolta dei cinesi di via Sarpi

Qualche giorno fa in via Sarpi, a Milano, la comunità cinese si è ribellata, protestando contro l’amministrazione comunale e scontrandosi fisicamente contro le forze dell’ordine.
La scintilla è scoppiata quando una donna cinese è stata multata dalla pulizia municipale e, mostrando resistenza alla notifica della contravvenzione, venne condotta al commissariato di polizia più vicino. Questo, in pratica, il motivo della goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Un vaso arrivato all’orlo e riempito, in gran parte, dall’avversione e dall’ostilità che i vigili urbano hanno applicato nei confronti della comunità cinese milanese. Proibito l’uso dei carrelli manuali per il trasporto delle merci, e raffica di multe ai proprietari cinesi dei negozi, colpevoli di parcheggiare in doppia fila per il carico/scarico merci. Una lesione in piena regola del diritto al lavoro dei cittadini che pagano le tasse al governo italiano. I tafferugli di Chinatown hanno riportato alla luce un problema, quello della ghettizzazione. Il processo di ghettizzazione, analizzando nello specifico quello avvenuto in via Sarpi e zone limitrofe, è provocato in origine dagli stessi cittadini autoctoni (Italiani in questo caso) che hanno venduto i loro negozi ed i loro appartamenti ai cinesi, a fronte di un compenso economico molto più elevato di quello corrispondente al mercato. In sostanza, i cinesi hanno pagato a caro prezzo i loro immobili, rendendo felici gli ex proprietari. Un mea culpa e’ d’obbligo per il ghetto cinese creatosi in quel di Milano e non solo. E’ comunque giusto dire che la comunità cinese si differenzia dalle altre comunità di immigrati, chiudendosi a riccio e integrandosi difficilmente con la società, oltre al fatto di sfruttare i neo immigrati dagli occhi a mandorla nell’industria tessile. (basso salario della manodopera = prezzo competitivo dei tessuti sul mercato).

lunedì 16 aprile 2007

L'abuso dell'alcool e delle droghe tra i giovani ed i messaggi della società

Ultimamente, l’uso dell’alcool tra le nuove generazioni di adolescenti è notevolmente aumentato. L’età dell’approccio al cosiddetto “primo bicchiere” tende sempre al ribasso. Gli anni oscillano tra i 13-15 in Italia . L’euforia paradossa, che provoca un consumo eccessivo di bevande alcoliche, è di solito raggiunta allo scopo di essere più intraprendenti nell’approccio verso altri ragazzi/e, lasciando cadere le inibizioni in una realtà distorta. Fenomeno, quello dell’alcolismo, che se associato alla guida delle automobili diventa un’arma ancor più devastante. Dal sito internet della Polizia di Stato (www.poliziadistato.it) risulta che le vittime nel nostro paese sono trentamila all’anno, su trentatremilioni di bevitori. Colpa forse anche dei modelli che la società e i media di massa propongono, dove spesso si associa una situazione stimolante e divertente ad un consumo di alcool.
Anche le manifestazioni e le gare sportive sono spesso pubblicizzate da note marche di alcolici.
In aggiunta ai modelli concettuali ( divertimento, sballo, approcci) vi sono anche dei modelli provenienti dal mondo dei Vip. La fotomodella americana Kate Mosse, ad esempio, dopo i suoi burrascosi trascorsi di alcool e droghe è ritornata nella carreggiata mediatica, più forte, più bella e molto più pagata di prima. In Italia si possono ricordare l’attore belloccio Paolo Calissano, ed il rampollo di casa Fiat, Lapo Elkann, per non citare la lunga lista di calciatori più o meno famosi.
Si parla molto del problema della dipendenza dall’alcool e dalle droghe, ma purtroppo la nostra società probabilmente non è in grado o preferisce non voler trovare una soluzione che possa prevenire un futuro da alcolizzato o tossicodipendente a centinaia di migliaia di giovani.
Si potrebbe iniziare con un categorico “tolleranza zero” per chi si mette al volante, per poi proseguire vietando le apparizioni televisive di personaggi famosi “positivi” e le pubblicità che affiancano il divertimento all’uso dell’alcool. Infine, il pilastro più importante lo si trova nella famiglia ed in particolar modo nei genitori, i quali sono i primi tenuti ad informare e ad educare i figli ad un uso corretto e sporadico di bevande alcoliche, quando il metabolismo dei ragazzi lo potrà consentire.

Un buon bicchiere di vino ogni tanto, male non fa.

Ogni tanto.

venerdì 13 aprile 2007

Telefono cellulare:Sotterfugio studiato a tavolino o conseguenza tecnologica inevitabile?

Filosofeggiando qualche sera con alcuni amici che attualmente hanno circa quarant’anni, è emerso che il telefono cellulare è diventato un bene di massa da circa 15-16 anni. Agli albori della futura telefonia mobile prepagata, l’utilizzo dei telefonini era esclusivo di pochissime persone, ed era ostentato come status symbol. Ricordo nitidamente, con gli occhi di un bambino, la visione di uno dei primi telefoni portatili, incastonato in una valigetta ventiquattr’ore. Oggi invece, il cellulare è posseduto da almeno nove persone su dieci. La sua comodità è innegabile, ma, come tutti i bisogni artefatti , è un’arma a doppio taglio. Con il telefonino, oggi, si è perso forse il gusto dell’avventura associata ad una buona dose d’imprevedibilità. Un tempo infatti, ad esempio, se il motorino tirava le cuoia a qualche chilometro di distanza da casa, di notte, non esistendo l’aiuto immediato del cellulare, ci si ingegnava a trovare qualche soluzione, pensando con la propria testa ( della serie” e mo so cazzi tua!”). Oppure, una persona, poteva essere rintracciabile solo se si fosse trovata in casa propria o presso il luogo di lavoro. Questa è la vera arma a doppio taglio del telefonino: la rintracciabilità.

Basta averlo acceso ed essere in una zona “ coperta” per riuscire ad individuare la posizione esatta del suo utilizzatore (attualmente, questo potere è riservato alle forze dell’ordine).
Allo stesso livello si pone la reperibilità vocale 24/24, in alcuni momenti very spacca balle. ( oggi anche visiva,grazie ai cell. UMTS)
E’ sulla rintracciabilità che si è innescato il dibattito:
forse la società, agli esordi della “cellularizzazione” di massa ha fatto in modo che la maggior parte delle persone utilizzasse un telefonino, per ammaliarle e renderle rintracciabili costantemente ?
Sotterfugio studiato a tavolino o conseguenza tecnologica inevitabile?

(Tralascio volutamente il concetto economico).

lunedì 2 aprile 2007

Classificazione dei Butei

Girovagando tra le vie ed i locali cittadini e non, ho notato come il sottobosco dei butei sia molto sfaccettato ed eterogeneo. Vi sono varie categorie che, insieme, rappresentano l’etichetta del butel universale. Come portavoce di questa corrente di pensiero liberal fancazzista, passerò in esame le svariate tipologie buteistiche che la compongono.

Possiamo trovare il butel :

teen ager, omologato, esibizionista/voyeur, spaccone, servo, morto, factotum, politicizzato, iperattivo, cinghiale, pinocchio, filosofo, ameba, scroccone. (ce ne sarebbero altri, ma per il momento mi limito a questi).

Il Butel teen ager:

Il Butel teen ager è quello che, anche se non più teen ager, si veste da teen ager, ha il taglio di capelli da teen ager (sleccate di vacca e banane anni sessanta), parla come un teen ager, frequenta compagnie di teen ager. Su quest’ultima massima si focalizza la poca intraprendenza e la probabile bassa fighettonaggine che possiede il Butel teen ager. Non potendo frequentare persone della sua età (semplicemente non lo cagano), ripiega sui teen ager e sulle generazioni di teen ager a venire. Rappresentanti di questa categoria, possono essere: Butel Marshall, e Butel Maui.

Il Butel omologato:

Il Butel omologato è quello che segue la massa in tutto e per tutto, senza un minimo di soggettività. Fa i salti mortali per avere la felpa all’ultima moda, le scarpe all’ultima moda, il gadget all’ultima moda. Inoltre, frequenta i locali all’ultima moda, paladino del motto “più gente c’è meglio è, anche se non conosco nessuno”. Questa tipologia racchiude moltissimi butei, privi di una propria personalità.

Il Butel esibizionista/voyeur:

Il Butel esibizionista/voyeur è quello che si trova spesso nelle piazze e in quei locali che hanno un ampio plateatico esterno in bella vista. Una standardizzazione del Butel Esibizionista la si può riassumere così, semplicemente, con un bicchiere in mano (non importa se pieno o vuoto) rigorosamente all’aperto. Ovviamente, il luogo per il “goto” all’addiaccio dev’essere ben esposto ad occhi indiscreti.

Il Butel Spaccone:

Il Butel Spaccone è quel Butel che si diverte ad andare in giro a cercare rogne e casini assieme ad altri (in)degni rappresentanti della sua categoria. Caratteristica, quella del branco “vecio casso gheto da vardar?” è proprio quella del gruppo. Anche uno starnuto può essere motivo di rissa per un vero Butel Spaccone. Lo si trova spesso nei locali fuori città e nelle sale biliardo fumose.( Da questa definizione, venne creato il film “ Lo Spaccone”).

Il Butel Servo:

Il Butel Servo è quel tipo di Butel che si annulla totalmente verso un amico/amica, diventandone il suo schiavo. L’amico migliore del Butel Servo è venerato come una divinità e tutto ciò che dice viene eseguito all’istante. Per chiamarlo, spesso basta schioccare le dita o battere le mani.
I padroni/migliori amici del Butel Servo, amano trovarsi ogni tanto in un luogo segreto per far combattere i loro Butei servi (conosciuti anche come Butei schiavi). Per bontà si omettono eventuali nomi appartenenti a questa categoria di Butel.

Il Butel Morto:

Il Butel Morto è quel determinato tipo di Butel alla perenne ricerca di una donzella con cui poter consumare sesso. Vi sono 3 gradi di Butel Morto, a seconda del tempo di astinenza da amplesso.
Si parte dal primo grado (il meno grave), che consiste nel lanciare degli sguardi fugaci alle girls, per poi passare al secondo grado che è concentrato nell’approccio più o meno verbale con il gentil sesso,arrivando al terzo grado(il più grave) nel quale il Butel Morto ci prova con tutte (comprese quelle “donne” con il clitoride gigantesco,comunemente chiamate trans),dai manichini dell’Oviesse ai Pesci Gatto Femmina.

Il Butel Factotum:

Quando si parla di Butel Factotum, si fa riferimento a quel filone di Butel che sa fare ( a suo dire) tutto. Sa cucinare, sa cantare, sa ballare, sa pattinare, sa sciare, sa planare con due sacchetti dell’Eurospin dalla Torre dei Lamberti (l’ha fatto di solito un paio di volte), sa pescare a mani nude nei fiumi, sa scalare le pareti di roccia senza corde, sa fare le flessioni con la lingua (di solito non si esibisce, elencando una serie di scuse ignobili), etc..etc..etc..etc...etc…etc…

Il Butel Politicizzato:

Per Butel Politicizzato, s’intende quel Butel che parla solo di politica, ascolta solo politica, fa l’amore con la sua donna solo con l’inno in sottofondo della sua fazione politica , mangia libri di matematica (politica) insalate di cibernetica e, quando un giorno avrà un figlio, lo chiamerà politica.

Il Butel Iperattivo:

Il Butel Iperattivo è quel Butel che vuole andare in almeno 7-8 locali,il venerdì sera, mentre, per quanto riguarda il sabato sera, il numero si aggira intorno ai 20-24 locali. Tende a tornare a casa quando il sole è già alto in cielo. Per lui la notte finisce alle 11.00 A.M. e nei week-end non disdegna feste di compleanno multiple (minimo 4 festeggiati e un regalo unico).

Il Butel Cinghiale:

Il Butel Cinghiale è quel Butel che prega ogni sera davanti all’effige di San Tuning da Fast and Furios. Vero fanatico nell’arte (?) dell’elaborazione meccanico/estetica di automobili, spende quasi tutti i suoi averi per poter essere ammirato dagli altri Butei Cinghiali, tutti ovviamente seduti al volante del loro bolide. Non importa se è una Maruti verde oliva o una Talbot nera: l’importante è modificarla.

Il Butel Pinocchio:

Il Butel Pinocchio è quel Butel che farcisce i discorsi da lui esposti, con balle colossali.
Nei suoi racconti, la verità è presente ma in minima percentuale. Nelle varie vicissitudini narrate dal Butel Pinocchio, e da me ascoltate, è emerso che:
-un giorno, un petardo lanciato da un Butel Pinocchio in un campo, ha creato una voragine di tre metri, riportando alla luce del vasellame romano;
-una sera, il Butel Pinocchio ha bevuto 28 Montenegri,12 Chupiti e 8 Havana Cola rimanendo sobrio e, al posto di blocco dei Carabinieri, l’etilometro segnava un improbabile zero;
-il Butel Pinocchio conosce tutti, compreso Chuck Norris ;
-Il Butel Pinocchio ha fatto un’orgia con tre ragazze bionde, giusto la sera prima, ma non si ricorda i loro nomi;
-Il Butel Pinocchio racconta solo la (sua) verità;
-Il Butel Pinocchio è talmente assuefatto dalle sue balle, che finisce di crederle reali.

Il Butel Filosofo:

Dicesi Butel filosofo, quel Butel che tenta di ammaliare le donzelle e gli amici con i suoi discorsi filosofeggianti e pesanti come un camion rimorchio a pieno carico. Particolarmente brillante dopo una serata all’insegna del vino, il Butel filosofo da il meglio di se dopo la mezzanotte. Non importano le citazioni dotte di Aristotele o di Sofocle, l’importante è dimostrare a chi non conosce la filosofia, che lui “la sa”. Quando incontra, nel suo cammino retorico, qualche butel che è ferrato in materia, il Butel Filosofo glissa, parlando di calcio e motomondiale.

Il Butel Ameba:

Il Butel Ameba è quel Butel che non ha mai voglia di fare niente, rivestito da un alone depressivo con le pantofole. Immancabile il bidone dell’ultimo secondo con scuse del tipo:

-ho la febbre;

-non ho la macchina;

-non ho i cash;

-sono stanco;

-mi vergogno;

-devo fare una cosa;

-devo incontrarmi con una persona in un luogo.

Il Butel Scroccone:

Il Butel Scroccone (ultimo ma non meno importante) è quel Butel che fa della scrocconaggine e della tirchieria il suo stile di vita. Se si è in un locale, quando è il momento di pagare, il Butel Scroccone chiede sempre a qualcuno se ha due euro “da prestargli”. Stesso discorso vale per le sigarette, delle quali, immancabilmente, il Butel scroccone è sprovvisto. Un giorno, un noto Butel Scroccone, rimasto a piedi con il motorino, ha preteso un prestito di benzina, aspirando quest’ultima con una cannuccia da cocktail. (giorno di Pasquetta , tutti in motorino, alla partenza col pieno, lui in riserva ). Si tralasciano le pizze surgelate rubate dai camioncini della Bofrost in sosta.

Ognuno di noi può sentirsi appartenente ad una delle categorie sopra elencate.

E tu, che Butel ti senti di essere?

venerdì 30 marzo 2007

Recensione film 300


Premetto che ciò che conoscevo di 300 , prima della visione, era una guerra tra spartani e persiani, poi il nulla…

Riassumendo il film con un aggettivo: lento.

La lentezza avvolge costantemente la pellicola di Frank Miller. Lassi di tempo lunghissimi e fermi immagine soporiferi. Scandagliando attentamente il secondo film del regista di Sin City, si nota un uso-abuso di effetti digitali, il che rende i paesaggi plasticosi ad effetto sfondo di cartone/recita delle medie.
I guerrieri spartani o persiani, hanno tutti lo stesso fisico e la stessa muscolatura, il che li rende molto “Manowar”*1 .
I dialoghi, troppo teatrali e forzati, sono un altro punto dolente del film, eseguiti probabilmente da qualche compagnia di guitti da paese. Se si aggiunge anche il mediocre livello degli attori, il risultato è pessimo.

Divertente anche il gioca juè della lancia (thanks butel1):

-Scudo!Lancia!Avanti avanti avanti!

-Lancia!Scudo!Avanti Lancia Scudo! (da leggere,ritmandolo al motivetto di Cecchetto)

La trama, per nulla avvincente, narra le gesta di un manipolo di prodi guerrieri (300 e non antiberlusconiani) spartani comandati dal Re in persona, che affrontano l’intero esercito persiano.
Il sangue, tanto acclamato dal pre lancio nelle sale, non è molto presente nei circa novanta minuti di film, il che è indifferente,dato che non si tratta di una pellicola horror.
Ritornando al fattore dialoghi-doppiaggio, la voce prestata a Serse, re dei persiani, fa sorridere.
Un uomo gracilino e goffamente imbelletato, futura icona gay, con un vocione da trombone è poco realistico.
A confronto, la mia voce da orco potrebbe vincere lo zecchino d’oro 2007/2008.
C’è anche chi, come Butel Paliazzo, vede una sottile analogia della trama di 300 ai giorni nostri,ovvero la guerra dell’occidente (sparta), all’oriente (persia). Può essere vero come no.

Ai commenti l’ardua sentenza.




venerdì 23 marzo 2007

La Democrazia in Iraq: certezza o utopia?

Il termine democrazia deriva dal greco demos che significa popolo e cratos , potere.
In Iraq, vige la democrazia ed il governo è stato eletto dal popolo in un periodo in cui il paese era sprofondato in un tunnel di terrore senza fine. Qui di seguito, una frase espressa dall’ex leader russo Mikhail Gorbaciov, per riuscire ad immaginare levento elettorale:


Non conosco elezioni valide che si siano tenute in condizioni di guerra o di occupazione militare. E' esattamente in queste condizioni che si sono svolte le elezioni irachene e considerarle valide (o addirittura un trionfo della democrazia) è offesa alla democrazia e cosa priva di senso comune.


Va ricordato che l
affluenza dei cittadini iracheni alle urne è stato molto bassa: su quindici milioni d aventi diritto, soltanto otto milioni hanno manifestato il proprio voto. L ex paese di Saddam Hussein ha quindi un proprio parlamento eletto democraticamente, ma non riesce a contrastare il terrorismo che sta annientando ogni giorno la popolazione civile e non. Le forze straniere presenti, composte soprattutto da soldati statunitensi e britannici, non riescono a contrastare lescalation di barbarie che continuano ad avvenire da aprile
del duemilatre,per mano di gruppi islamici fondamentalisti. Lo scenario che emerge dal territorio iracheno è quello di una guerra che contrappone al mondo occidentale-cattolico, il mondo arabo-islamico fondamentalista.
Guerra questa che ha un nuovo volto, semi-sconosciuto. I soldati della coalizione internazionale guidati dagli Stati Uniti affrontano un nemico che non è riconoscibile, facilmente identificabile e che può trovarsi ovunque: l
uomo in fila alla panetteria, lauto parcheggiata allangolo di una strada , finti poliziotti o vigili del fuoco. Questo è ciò che ha destabilizzato linfante stato iracheno, con il popolo indifeso posto tra lincudine ed il martello. Un dettaglio non trascurabile per lesito della guerra presente in Iraq è la grande disponibilità di uomini in entrambe le fazioni, che prolungherà purtroppo gli scontri e lo spargimento di sangue.
Chiamati alla Jihad (guerra santa), confluiscono nel paese dell
ex Rais combattenti dal Pakistan, dallAfghanistan, dalla Somalia, dallArabia Saudita, dallo Yemen e da altri stati Musulmani.
Attualmente, risulta difficile definire l
Iraq un paese democratico.

Lanarchia e la distruzione, purtroppo si manifestano oggi come allora, giorno della liberazione di Baghdad.

martedì 13 marzo 2007

Ah questa televisione...

Puah...che schifo.Che tv trash che abbiamo ragazzi miei.Al giorno d'oggi, (ma anche un po a quello di ieri) cosa non si fa per andare in televisione. Questo fa riflettere e capire il potere della scatola nera che tutti,bene o male possediamo in casa. A partire dalle risse in tv, al grande fratello( o anche grande porcello,monello,bordello,cannello,brodello....etc), a Mari(o)a de Filippi per arrivare alla grande cagnata che ho letto nell'articolo qua linkato :

http://www.allmusic.tv/allmusic/programma?pageType=programma&idProgramma=41&ref=hpstr?ref=rephpsp2

Tristezza. A me piace spesso parlare e criticare il mondo televisivo, ma per farlo bisogna ahimè anche guardarlo (ogni tanto però). Mi viene in mente uno dei programmi più tristi della tv italiana, tale Uomini e Donne, dove un buzzurro qualsiasi,purchè belloccio (e fantoccio) si fa corteggiare dalle sgallettate di turno, pronte ad accapigliarsi e ad azzanarsi come cagne in calore, il loro osso da brodo.

Tristezza. Un altro programma che merita un "Tristezza" è quel mega contenitore domenicale che va in onda su canale 5 la domenica. Buona(?) domenica per l'appunto. Format senile, in cui i partecipanti sono succubi totalmente della moglie (si ho detto moglie) di Mari(o) de Filippi (per Dio anche qua),tale M.Costanzo.

Fighette di gomma che fanno il salto in alto sotto gli occhi divertiti del cicciuzzo baffuto e bofonchiatore, improbabili trenini al ritmo di samba dal retrogusto fantozziano e sberle verbali e non solo scambiate sul ring dell'insulto. Un ultimo episodio,capitato sempre a buona(?) domenica, per poi non annoiare più nessuno. Un pomeriggio, ospite del programma minestrone v'era uno dei nerds della pupa e il secchione, vestito da gatto(o da coniglio,non ricordo bene). Il suo scopo era quello di far divertire un gruppo di v.i.p. (veci in pension?) facendosi spingere da essi, nonchè schiaffeggiare ed insultare, il tutto condito da grasse risate dei coinvolti e del Duce Costanzo(tipo quello che capitava al compagno sfigato delle medie). Al che, in un impeto di rabbia,misto a frustrazione per l'evidente decadentismo della tivù odierna, ho spento la Tv e sono andato a farmi un giro, chiedendomi retoricamente se mai qualcosa potesse cambiare.

Tristezza.

martedì 6 marzo 2007

PUB ANDY CAP (Borgo Trento) [su richiesta dei miei (2) fans.]

Ubicato in quel di Borgo Trento, prima della lunga salita che porta al Parco delle Colombare, l’Andy è un localino costruito in stile pub inglese, tutto rigorosamente in legno, dai tavoli, al bancone, al controsoffitto.

All’ingresso, il locale risulta suddiviso in due lati: uno destro, con due lunghi tavoli ideali per combriccole numerose; uno sinistro, con tavoli più piccoli posti sopra una pedana.

Molto infelice è un tavolo detto “il castigo”, in cui ci si può sedere solo in due, fianco a fianco (da me mai utilizzato).

L’atmosfera all’Andy Cap non è delle migliori, dato che spesso ci sono al massimo due o tre avventori, di dubbia provenienza. Le pareti trasudano vecchiume e un ammodernamento non sarebbe male. Carine, ma anch’esse d’altri tempi, le gigantografie dei Rolling Stones. Pollice down!

La musica, tenuta bassa, spazia dall’hip hop al rock ‘n roll, toccando ogni tanto l’house commerciale. Può accontentare tutti, ma non il sottoscritto. Pollice down!

Per ciò che concerne il beveraggio, la birra la fa da padrone ed è il punto di forza del pub.

Peccato però che la birra rossa sia solo in bottiglia e per giunta quella del baffo. Per non apparire un rumeno sanzenate , ordino la classica bionda. Discreta, ma pollice down per la rossa non in fusto.

Il bagno è al piano di sotto, e ci si arriva scendendo una mortale scala a chiocciola a rischio scalpo. E’ pulito.

Sommando la pericolosità della discesa alla pulizia del bagno, il giudizio è accettabile.

Soprattutto d’estate, l’Andy Cup è molto frequentato e pullula di gggiovani grazie all’ampio plateatico esterno, anch’esso rigorosamente con panche e tavoli in legno. E’ sempre piacevole sorseggiare un buon bicchiere all’aperto, ogni tanto accompagnato da un ottimo piatto di fusilli al ragù o da qualche fetta di anguria molto dissetante, entrambi sempre offerti dalla casa. Pollice UP!

I prezzi sono normali, quattro euro una media e due una piccola.

Il butel (un vero butel) che gestisce il pub è molto simpatico e spesso ci si scambia volentieri qualche battuta. La recensione critica è dovuta soprattutto alla mancata immissione di personalità apportata al locale dopo il cambio di gestione che ha portato alle redini il simpa butel di cui sopra. In pratica l’ha lasciato immutato, il che è un male, dato che anche prima il locale era piuttosto decadence.

L’Andy Cap è un pub che va bene d’estate, dove si può sfuggire per un po’ dalla cappa di calore opprimente che affligge il centro città, dato che lì la brezza torricelliana si fa di solito sentire.

Sconsigliato per le altre stagioni, a meno che non sia uno dei pochi pub aperti in zona.

lunedì 26 febbraio 2007

ART CAFE’ (via Trezza 43)

Ore 23 di un venerdì sera qualunque. Il divertente bighellonare davanti al monitor si è esaurito e decido quindi di fare un salto in quel di Veronetta. Premetto che la meta è ancora sconosciuta, quando butel m propone di andare a sgargarozzare qualcosa all’ Art Cafè, con rispettive consorti.

L’idea non è male. Varcata la sogli(ol)a , noto che il locale è suddiviso in due stanze: una con il bancone per gli avventori in piedi, l’altra con fashion, anche no, divani in marmo (carini ma freddi) in share con altri clienti. Il tutto condito da svariati cuscini in pieno stile Averroè cafè di Marrakech .

Il singolo del gruppo che non trova spazio per il proprio deretano, deve ripiegare su simpatici sgabelli di finto marmo (che sembra vero). Alzandoli, agli occhi di chi non conosce questo barbatrucco, ci si può fregiare del titolo di “Uomo da sei milioni di dollari” (uno degli esseri più forti al Mondo). E’ presente anche un camino che, come riferitomi dall’habituè butel m, in periodo di castagne viene acceso. Il focolare in questione, fa molto “ stanza ospiti del Marchese”. Up!

Belle le luci incastonate nei sopraccitati sofà. Superato l’impatto iniziale, (dovuto alla notevole vicinanza degli altri frequentatori) l’Art Cafè è un locale dove ci si può tranquillamente rilassare sorseggiando uno o più tra i molteplici cocktails presenti su listino. I cocktails. Buoni e saporiti, ma blandamente alcolici, come anche i chupiti. Nota questa positiva per le pheeghe, ma non per i butei spirit(o)amente navigati. Down!

La musica, al volume giusto, era a base di house-ambient primi 2000, misconosciuta (3-4 pezzi li avevo comunque già sentiti). Indifferente.

L’angolo del tabagista, all’Art, è uno dei più inconsueti mai visti. Non è all’entrata principale di fianco ai boletus posacenere, dove di solito si trova, ma sul retro. Un piccolo anfratto all’aperto con un paio di tavolini e sedie d’alluminio , circondato da un muro in pietra. Con stupore di butel m, consorte e mia consorte, mi sono messo a cercare il tesoro nascosto dei pirati, convinto che fosse quello il riparo di antichi predoni del Mar dei Caraibi. Originale.

I prezzi sono circa cinquanta centesimi più alti rispetto allo standard 1 coca havana-5 euro.

Il mio mentore, butel m mi parla anche delle mirabolanti prove di coktellaggio acrobatico che ogni tanto si verificano dietro il bancone (da me non viste). Da citare un piccolo quiproquo capitatomi quella sera. Ordinato un Singapore Sling (Gin, Cherry Brandy, succo di limone e Soda Water) mi arriva un altro cocktail a base di succo di pompelmo e non so cosa. Non me ne accorgo (saranno le 16-18 Davidoff quotidiane?). Dopo circa cinque minuti, la barista, rivelatomi l’errore si scusa, assicurandosi del mio gradimento verso l’errato cocktail. Passa ancora qualche minuto e, offerto dalla casa, arriva il mio Singapore d’origine, ribattezzato dal sottoscritto “cocktail del popolo” e fatto girare tra di noi. Seguono altri giri di chupiti (compreso il fantomatico penultimo elargito anche questo dalla casa).Up!

Una riga (scritta) sulla clientela: prevalentemente universitari, gruppi di over trenta e qualche coppia.

Se volete un locale originale e accogliente, fatevi un giro all’Art Cafè di via Trezza ( zona Piazza Isolo- Veronetta).

giovedì 22 febbraio 2007

Manifesto Anti Compleanno in Pompa Magna

Manifesto-Anti Compleanno in Pompa Magna

E’ ormai un classico,arriva la chiamata del butel/a di turno che chiede di andare al suo compleanno,tavolo prenotato in disco ,mille cocktail ,mille pheeghe, mille butei, mille mille mille.

“Si può fare, ti saprò dire”. Così mi limitavo a rispondere fino a poco tempo fa. Odio i compleanni in pompa magna, quelle serate in cui conosci il festeggiato, 2 , forse 3 butei e gli altri non sai minimamente chi siano. Che senso ha fare una festa di compleanno ove la maggioranza delle persone presenti non si sono mai incontrate, ergo non si conoscono? Sorrisi tirati, battute tirate, noia.

Volgarmente detto:una rottura di coglioni.(ndr. la correzione automatica mi dava ciglioni al posto di coglioni). L’invito al compleanno neo pacchiano, con una ricerca spasmodica ai confini dell’ossessione di mondanità d’infimo livello mi porta tout court a declinare la mia presenza in base ad alcuni criteri prescelti non direttamente, ma acquisiti ahimè d’esperienza:

1) I gruppi che si formano durante la serata portano inevitabilmente ad un naufragio della nave, dove tutti fanno un pò come cazzo gli pare ( preso da uno spot di Guzzantiana memoria a favore della Casa delle Libertà).

2) Tentar di rimembrare i tempi passati, conditi da grasse risate e pacche sulle spalle è un’impresa ardua, dato il tuntz- tuntz perpetuo ad altissima frequenza sito nelle balere per giovani.

3) L’assalto alla mega caraffa offerta gentilmente dal festeggiato, mi ricorda l’assalto alla distribuzione dei viveri in quelle zone del Corno d’Africa martoriate dalla guerra e assalite dalla fame/sete.

4) Il festeggiato/a il cui motto è “più gente c’è meglio è” è più preoccupato ad accogliere gli invitati indirizzandoli al tavolo piuttosto che divertirsi ed intrattenere i presenti.(a questo punto mi viene da pensare: vai ad accogliere le persone nella Reception di un albergo, così ci guadagni pure qualche euro).

Ovviamente, ognuno è libero di festeggiare come gli pare e piace, ma non deve sottovalutare il fattore di conoscenza reciproca tra gli invitati. Una buona cena a base d’invitanti libagioni, annaffiata da un buon vinello, con una piccola cerchia di amici, per poi magari rintanarsi in un bel localino dove si possono scambiare quattro chiacchere è di gran lunga più divertente e meno smarronante dell’ormai retrò Compleanno in Pompa Magna. L’invito a quest’ultimo, da qualche anno a questa parte, lo rifiuto con la scusa di dover togliere la pubblicità al programma che sto registrando su Rai Uno condotto da Gigi Marzullo (cassettone mio cassettone).

Butel Saval

lunedì 19 febbraio 2007

IL CONTE E LA TR*IA

Ieri sera (mercoledì 15 febbraio 07 ndbs), surfando per il web, mi sono casualmente imbattuto nel mini reality della trasmissione “Le Iene” andato in onda solo su internet ed intitolato “Fratello e Sorella”.

Innanzitutto i protagonisti principali:

-il conte (dalle braghe onte) o presunto tale Filippo Nardi ,ex grande fratello;

-Diana Kleimenova, rigurgitata dall’odierna edizione del Grande fratello(o il Grande porcello o il Grande monello o il Grande bordello…non importa, basta unire il suffisso –ello).


Quei zuzzurelloni de “Le Iene” hanno avuto la “brillante” idea di trasformare una roulotte-decadence in alcova e cederla per ventiquattr’ore ai due di cui sopra. Breve prologo: il multi tatuato conte è ricordato e spesso blobbato per la celebre sclerata in diretta tv nella quale richiede a gran voce e in italiacano, le “sue sigarette”, brandendo e sbattendo sulla telecamera, come un uomo del paleolitico, un pezzo di legno. Diana Kleimenova ha concorso per la vittoria ed eventuale acclamazione(quale onore!) al grande fratello di quest’anno. Verrà ricordata, se mai lo verrà, come la sgallettata che ci provò con tutti gli esseri viventi di sesso maschile, sin dal primo giorno, (magari anche con i topi ripresi dalle telecamere impietose di Sky*) facendosi affibbiare da me e non solo da me il gentile appellativo di tr*ia. Ragazza questa di una sfacciataggine rara come un pepita d’oro gigante in Klondike.

Basti pensare che:

1) usava mettere direttamente il profumo in zona selvo-paradisiaca per poi andare a farsi odorare direttamente dai buzzurri sbigottiti presenti nella “casciiaa” (® Daria Bignardi) più finta d’Italia;

2) amava infilarsi per metà una sigaretta all’interno delle sue mutandine, lasciando fuori la parte con il filtro, per poi offrirla al suo boys scodinzolante di turno (rigorosamente senza mani).

E sono solo due.

Ritornando ai due “giostrai per una notte” va detto che l’obiettivo principale de “Le Iene” era quello di riuscire a far copulare i due forzati ospiti nel corso della notte. Tra improbabili scritte con la panna su petti villosi, frasi classiche a doppio senso ( tipo “Cosa ti piacerebbe avere in bocca?”) e mimate figure di (merda?) kamasutra, l’intento di farli accoppiare non è riuscito e i nostri due “eroi”, sopraffatti, capitolano a causa di due reality-flatulenze* dal sangue blu.

Riflessione:

La parola dignità non trova più definizione dopo le scene impietose da me purtroppo osservate. Una mercenaria d’istanza alla piazzola attigua “Alfa Lampadari” sulla Strada Statale che porta al Garda Lake si farebbe qualche scrupolo in più, rispetto alla tr*ia sopracitata, per sfondare nel piccolo schermo.

Si potrebbe parlare del primo vero fenomeno di Meretricio Spudorato in Diretta. Un giorno per raccattare un fallo, servirsene e cercar di comprare il pubblico( sempre più in calo, fortunatamente) del grande cannello ( Fratello e Sorella per l’edizione no fuck di un sol giorno su iena ridens online).

Per ciò che concerne il Conte Nardi, per lui vanno mimati con grande impegno un chapeau e l’appunto sul petto di una medaglia al valore per la resistenza. Lui cercava solo di ri-farsi vedere (lungi da me essere un suo fan!) in TV, rifiutando a priori una ciulatina in diretta( bombardando però come una Panzer Division); lei cercava veramente la penetrazione come on baby light my fire!, non paga di quella trovata al grande culatello di fronte a milioni di spettatori(forse qualche migliaio quelli online del 15 febbraio) .

Al peggio non c’è mai limite. Della serie W le puttane di Satana…

*le parti assegnate con l’asterisco sono rigorosamente veritiere

Butel Saval

venerdì 26 gennaio 2007

Mondo Verona

Da oggi parte Mondo Verona,un blog che parla di Verona e non solo.Questo è già deducibile dal titolo scelto.Verona, la mia città.Mondo,non ha bisogno di spiegazioni.Un blog per confrontarsi, per farsi conoscere,per dire la propria su qualsiasi cosa.Verona, una città cambiata in questi anni o rimasta sempre tale? Città che sa divertire o città che annoia terribilmente?Dite la vostra butei e butele!

mondo verona

mondo verona