sabato 14 febbraio 2009

Majakowskij

Un sabato sera qualunque, uno di quelli in cui non c’è un cazzo da fare, arriva la proposta di andare a tal Majakovskij. Lasciate ogni speranza o voi che entrate. Arrivati verso le dieci e mezza, io e i miei prodi, vediamo sin da subito un capannello di hippoppari con pantaloni in pieno stile “shit in the slip” discutere sull’esosissimo prezzo d’ingresso: 5 euro per la tessera + consumazione omaggio. C’è chi bestemmia e si strappa i capelli:” Ma no dai, come faccio a pagare 5 euro! Poi non mi restano più cash! Fanculo io non entro! Oh raga, dai non entrate che magari non ci fanno pagare! E poi il dj è un mio amico”. Scene di clientelismo di bassissima lega. E non è il partito di Bossi. Fatto sta che, scandendo il tempo con una sigaretta, mi faccio quasi influenzare nell’aspettare il dj amico e seguirlo nel codazzo di scrocconi. Un lampo che mi attraversa ma che mi abbandona subito. Decido di entrare. Va detto che già fuori, il Majakovskij lascia intendere di essere un postaccio. La location è in un vicoletto in zona Porta Vescovo, che risente delle influenze negronettiane limitrofe. Varcata la soglia, due tipe, una polacca col faccione da balon ed una rasta acidissima e untissima, battono cassa. O si compila il foglio o non si entra. Mario Rossi decide di compilare il foglio, paga un cinquello ed entra. Fatta l’anticamera, lo spettacolo è uno dei più desolanti mai visti. Una vecchiarda inchiodata ad una poltrona sfondata scruta con occhio spento tutti quelli che entrano. Il locale è praticamente vuoto, fatta eccezione per 4 “shit in the slip” sprofondati in altrettante poltrone di cui sopra. Decido di bere subito, per dimenticare. Coca e rhum, grazie. Buono? Naaa…il rhum dell’euro spin sa veramente da fogna. Trangugio con la faccia schifata. Bellissima la scena che capita qualche minuto dopo: entra un tipo, ordina un whisky and cola. La tipa glielo fa e gli chiede cinque euro. Il tipo: “ Ma scusa, non è omaggio la consumazione?” e lei :” no, solo coca e rhum e gin lemon”. Il tipo ribatte:” ah, non lo sapevo, ma non ho i soldi, non posso pagartelo” prende su il cocktail e va via. Scena veramente super trash! Ordino un coca e havana. 5 euro per un cocktail marcio, versato in un bicchierino di carta. Li mortacci! Indeciso se levare le tende al volo o se aspettare, propendo per la seconda. Dopo circa mezz’ora, orde di “shit in the slip” iniziano a riempire il Majakovskij. Ah, parliamo dell’arredamento. Infaustissima la scelta di attaccare dei quadri raffiguranti scarrafoni vari e farfalle morte. Di certo non aiutano a innalzare il valore di quel posto con luci soffuse soporifere. L’apoteosi si ha con la foto di una pantegana morta, attaccata alla sinistra del bancone. Vedere per credere. Poi, di per se il luogo non è così malvagio, se si tralascia che potrebbe benissimo essere la taverna di una villetta a schiera. Partono un po di free stile ai piatti, con annesso nugolo di amici del dj che hanno scroccato l’ingresso. Parte anche Butel Saval, alias Mario Rossi. Al Majakovskij? No way man, no way. Se lo conosci lo eviti, un po’ come il buio o come Giacomo, un vecchio imbriagon che gira i bar del centro e che ha come obiettivo quello di attaccare chiodi assurdi al malcapitato di turno.
Pollice down, in tutto

B.S.

venerdì 28 dicembre 2007

Piper, niente di nuovo

L’intento di quel venerdì sera era di passare una serata tranquilla, al solito bar con un po’ di gggente ( flashback-à suscita ancora in me ilarità quel pomeriggio in centro con una mia amica. Alla proposta di un aperitivo al Cortez di porta Borsari, la sua risposta è stata “ C’è poca gggente dai! Passiamo dopo quando si riempie di più!”…ma vafangulo) .

Il baretto è chiuso, che si fa? La più classica vocina fuori dal coro, imbrigliata anch’essa nella ragnatela del tam tam, marketing a “ pochi schei, ostia!” propone di andare a fare un giro al Piper, locale abbarbicato sulle Torricelle , ex Circolo della casa delle liber..ehm….del Tennis.

Champagne e Aragosta!

Varcato l’ingresso, ci si trova in mezzo ad un corridoio, dove a sinistra ci si dirige verso la sala ristorante, isolata all’altra parte del locale, mentre a destra si accede all’obiettivo maximo di poseur e amanti del bere, il bancone. L’effetto, alla fiera dell’ovvietà, è uno dei più classici: il Dejà vu.

Muri a tonalità chiare, librerie con strumenti musicali sotto teca, condotti dell’aria ben visibili e travi a vista.


Special guest : le facce d’aragosta, gli attempati quarantenni con toupet e Valpolicella in mano, i damerini direttamente da Venezia con l’acqua alta, i lampadari in cristallo boheme, le tv al plasma che proiettano immagini a random, le phheghe. Tante. Balza all’occhio il tavolone bianco del castigo, perfetto per gli esibizionisti più incalliti. Incastonato in un angolo, permette di sedersi solo spalle al muro (pax 4-5), dominando la visuale sugli astanti. Niente da dire sull’arredamento in generale. Non originale, certo, ma probabilmente dispendioso. Stride l’altre parte della sala lontana dal bancone ellittico. Tavolini in penombra per cene caciarone ( dàghelo molo, dàghelo duro! Uè!) o per compagnìe timide. Per i loose dog like me, mensole e sgabelli vicino al bancone godono anch’essi di una visuale egregia. La musica, sound by Radio Company e sparata a palla ( ci stai dentro veecio!) disturba non poco il dialogo. Altra nota di demerito è la collocazione dei bagni, siti al fianco della cucina. Provo a non immaginare gli ingredienti del piatto “ Fantasia dello Chef”.

Insomma, il Piper, riallacciandosi al Deja Vu, ha un sapore di portanuoviana memoria, sicuramente più grande e meglio disposto, ma poco originale. Prendo atto che il marketing “da du schei” adottato dai soci del Piper ha funzionato. Di venerdì, il locale era carico di bella gggente.

Il traino del Piper, se sfruttato bene, sarà la terrazza esterna, da cui si gode di una vista magnifica sulla città scaligera. Non è classificabile la qualità dei cocktail, dato che quella sera, carico di esperienza passiva ( patenti ritirate di terzi), ho bevuto due succhi di frutta.

D’inverno, un locale forzatamente fashion e radical keetch , d’estate (forse) una sorta di lillipuziano makò.

Da (ri)vedere.

Butel Saval

venerdì 2 novembre 2007

Mantra Cafè

Un sabato sera qualunque decido di andare a fare un giro al Mantra Cafè, ex Harp Pub, sito in Via Cantarane (zona univr). Per chi, come me, ogni tanto andava a bere una birretta all’Harp pub, sarà uno shock entrare al Mantra Cafè, sia per ciò che concerne l’arredamento, sia per la “bella” gente che fa da cornice. Se un tempo era il legno il componente principale dell’Harp ( dai tavoli alle panche, dal barista alla cassa) ora sono la plastica e l’eco pelle a farla da padrone. Addio anche al vecchio odore, sconfinante talvolta in fetore mefitico, delle “groste” al formaggio (una specie di pizza super formaggiosa) , scalzato da una fragranza simile ad un pout porri di alcool e big babol. Confesso che v’era un po’ di titubanza nell’entrare, data dal numero elevatissimo di persone di sesso maschile ( sembrava di entrare al famoso popper bar di San Michele, con flipper dalle gambe segate annesso, per giocare a 90°), ma decisi comunque di tentare la sorte. Rivoluzione!

Le donne ci sono e all’entrata, fa sfoggio di sè il mega bancone futuristico bianco. Poco lontano,vi sono alcuni tavolini bianchi con sedie bianche. Più a destra, un dj bianco che suona musicaccia techno (bianca?) e, alle sue spalle, il secondo troncone del locale, composto da divani di pelle bianca e tavolini bassi. Ordino una sambuca liscia, mi rispondono che è terminata. Ma come, finisci la sambuca di sabato sera? No way man! Ripiego su un montenigger. Bevo e levo le tende. In quel quarto d’ora passato al Mantra cafè, posso dire che con tale arredamento, il locale risulta un po’ freddino, a causa del colore bianco che è prettamente dominante. Il salone dei divani poteva essere sfruttato meglio. Tanti divani, salone grande, gente pochissima. Crea un senso di vuoto notevole, quasi opprimente.

La gente. Strana. Giovani universitari alternativi e un po’ untini e qualche gruppo di najotti (immancabile) . Al Mantra Cafè va riconosciuto lo sforzo nel tentativo di proporre
un arredamento fashion (?), anche se ormai banale. All’entrata, il locale sembrava abbastanza pieno di gggente, ma l’occhio sentenzioso conosce ormai il vecchio barbatrucco degli avventori posizionati appositamente dal gestore all’ingresso ( saranno li stessi ragazzi seduti dietro Magalli a Piazza Grande? Le sagome di “Mamma ho perso l’aereo” insegnano).

In conclusione, un luogo dove bere uno shot veloce per poi approdare in lidi migliori.

Per chi andava all’harp, meglio evitare. Per tutti gli altri, pure.

Butel Saval

lunedì 29 ottobre 2007

Lucchetti dell'amore

I lucchetti dell’amore impazzano da tempo su ponti, cancelli, motorini, biciclette, portoni, mutande e chi più ne ha, più ne metta. Cosa sono i lucchetti dell’amore? Sono dei lucchetti di ferro, semplicissimi, messi in ogni dove dagli innamorati, per scambiarsi in questo modo una promessa di amore eterno.

I lucchetti sono diventati di moda da quando sono apparsi nella pellicola per adolescenti “Ho Voglia di Te”, tratta dall’omonimo libro di Federico Moccia. Ora mi domando, questi lucchetti non danno un senso distorto dell’amore? Ovvero, il lucchetto è chiuso e tu sei mia/o per sempre.

Non credete che con tutta questa ferraglia, subentri una concezione possessiva dell’amore, legata al partner/oggetto? I lucchetti arrugginiscono ma l’amore non deve arrugginire.

Secondo me questi lucchetti sono una gran cagata….

mercoledì 24 ottobre 2007

Jamaica

Pub Jamaica- Verona

La recensione in questione riguarda uno dei locali più jamaicani (ahah) di Verona, ovvero Il Jamaica, situato a Verona Sud, vicinissimo all’imbocco dell’autostrada. Il Jamaica è un connubio tra trash art e wood creation, ricco di suppellettili low budget. L’idea è anche carina e rappresenta una novità nel mare magnum (?) di locali, o presunti tali, che la nostra Verona ospita. Premetto che se volete andare al Jamaica, non fatelo, o vili mecanici, di venerdì o sabato sera, a meno che vi armiate di dosi massicce di pazienza. Infatti, nei fine settimana , la coda per entrare è lunghissima, non tanto per la decatantata (da altri) selection, quanto per i posti a sedere limitati. Oltrepassato l’ingresso ( give me the morning ride, baby), si nota un locale molto spazioso, ma altrettanto dispersivo.
Agli angoli, si trovano degli spazi recintati da assi di legno, con dei tavolini bassi e dei cuscini per terra, dove ci si può sdraiare . Vicino al bancone vi è anche un soppalco, raggiungibile tramite una liana/scala dove possono trovare posto circa quattro persone, causa limite massimo di peso. Disseminate qua e là ci sono delle botti di legno utilizzate come tavolini, con annessi trespoli
( e catene da infilare alle caviglie, come con le cocorite). Carina la roulotte per coppiette, dove si possono fare quattro sporcellate con la pheega di turno , lontani da occhi indiscreti (e bocche sbavanti). In questo spaccato di caraibico sapore, si possono sorseggiare i più svariati e conosciuti cocktail, ma la vera specialità è la brocca-calderone con frutta surgelata di stagione, coca, acqua, havana ( a scelta) e tanto, tanto ghiaccio.

Il ripieno della pignata di David Gnomo lo si può gustare con l’ausilio di chilometriche cannucce, comode e pratiche ( ad ogni sorsata una commenda sulla camicia,tanto da potersi guadagnare,a fine serata,l’appellattivo di Commendatore) . Pratiche… Infatti, dirigendosi in bagno con in bocca una di queste, si può tranquillamente bere a distanza ( anche dalle brocche degli altri,in simpatia).

La musica, considerato il background ed il nome del locale, è ovviamente a base di reggae. Mancano solo il free joint ed i negroni ( non i cocktails) con i rasta per sembrare in Jamaica (chiudendo prima gli occhi). Il target del Jamaica è abbastanza variegato e dedicato.

Infatti, durante la settimana l’età media va dai 23 anni su, nei week-end si abbassa includendo
teen-ager brufolosi e fighette gne gne. Che dire…l’idea non è proprio malaccio, ma considerando i “quatro schei” spesi per allestire il locale, è assurdo proporre a 25 € il pentolone ed i cocktail a 6-7 € (indipendentemente essi siano alcolici o anal(mmm)colici). D’estate è presente anche un tristissimo plateatico esterno, delimitato da piccole canne di bambù e circondato da prefabbricati tipici da zona industriale.

P.s. Un consiglio ai gestori del Jamaica: Mettete nello stereo qualche bel disco del nero albino più famoso di Kingston: Yellowman. Check this sound!

Butel Saval

lunedì 18 giugno 2007

Il bipolarismo forzato della politica italiana

E’ innegabile che la politica italiana ultimamente stia attraversando un periodo oscuro, in cui la fiducia nelle istituzioni e la credibilità di quest’ultime, stanno perdendo sempre più punti di affezione da parte dei cittadini. La politica forzatamente bipolare, spesso più sfaccettata e divisa all’interno d’ogni singolo blocco, non sta portando i frutti ben sperati.

Intercettazioni telefoniche bipartisan, foto su giornali scandalistici e furibonde liti decorosamente verbali, condiscono il tutto, all’insegna di un caos social politico prettamente italiano.

La soluzione alla moltitudine dei problemi che investono il paese, può essere riassunta in un’ unica parola: collaborazione. Collaborazione tra destra e sinistra, collaborazione all’interno della destra e della sinistra, collaborazione all’interno delle micro galassie che compongono ogni singolo partito.

Se non si parte dal presupposto che l’unione fa la forza, per il bene della comunità, quindi implicitamente, per il bene degli elettori, la politica si ridurrà ad un inutile cianciare, facendo sprofondare ulteriormente chi, prima, “non se la passava poi tanto bene”.

Della serie, si stava meglio quando si stava peggio.

venerdì 15 giugno 2007

Microcosmo

Quasi tutti noi abitiamo in un contesto caratterizzato da relazioni umane variegate, che vanno dal luogo di lavoro, all’università, dalla cerchia di amici al posto in cui viviamo, etc…
Ecco, ognuno degli esempi sopra riportati può benissimo essere chiamato microcosmo.
Durante il corso degli anni ho vissuto e frequentato diversi microcosmi, alcuni ancora attuali e altri “sedotti e abbandonati”. Ricordo bene, durante gli studi, il periodo del lavoro (come allestitore) in fiera, terra quella ricca di microcosmi folcloristici e variopinti.
Il mio in particolare era una sorta di armata brancaleone (me compreso) abbastanza competente, ma altrettanto demolita. Si trattava di montare gli stand:

-C’era l’alcolizzato( già tossicodipendente)aficionados al caffè corretto vecchia romagna delle 7.30;

- Il vecchio e aitante pensionato, con fama di demolitore di coglioni( N.B. per tre giorni, 24 ore, ho dovuto spingerlo su un castello di damer );

- Il calciatore fallito (arrivato anche in serie B);

- Il vecchio panza, fumatore pazzo di golouase senza filtro;

- Un magrebino ed un cileno, grandissimi lavoratori;

- Uno studente un po’ rimba;

- Un giovane padre di famiglia.

Tralascio volutamente le bestemmie grezze e le battutacce da “osteria numero venti” ( se le fighe g’avesse i denti…..segue Cin Cin fragoroso con boccali di bronzo), scambiate talvolta amichevolmente, talvolta pregne di rabbia alcolica, dal simpatico gruppo.
Ogni personaggio è caratterizzato da un particolarità ed i soprannomi si risparmiano, anche se talvolta veritieri ( il tipo con faccia sempre sudata, il lustro , resta però il migliore di tutti).
E nel vostro microcosmo, chi è (in)degno di essere menzionato almeno con un aggettivo o brevissima nota descrittiva?

mondo verona

mondo verona